Gli incendi costituiscono un annoso problema che sempre più è concatenato a questioni quali i cambiamenti climatici che si stanno verificando negli ultimi anni (aumento della temperatura media, periodi di siccità prolungata, …) e mutamenti di vita delle comunità antropiche residenti nelle zone montane e rurali.
Nel passato più recente gli incendi hanno provocato un allarme crescente poiché si sono sviluppati con maggior frequenza in aree vicine ai centri abitati, a causa del progressivo abbandono verificatosi delle cure selvicolturali. La strategia vincente per combattere e tentare di debellare questo fenomeno, consiste nella contemporanea adozione di diversi provvedimenti:
– creare una costante sinergia collaborativa tra i diversi Enti (Corpo Forestale dello Stato – Dipartimento della Protezione Civile – Vigili del Fuoco – …) ed i volontari di associazioni venatorie ed ambientaliste;
– attuare la cosiddetta “prevenzione selvicolturale”, ovvero l’adozione di tecniche di coltivazione agraria e boschiva mirate a consentire un rapido ed efficace intervento;
– corsi volti ad elevare la professionalità degli operatori che dovranno poi essere dotati di efficaci mezzi ed attrezzature.
Capita spesso di sentire sui media nazionali e locali che la popolazione dei cacciatori sia ritenuta fortemente indiziata della responsabilità di incendi anche di notevole entità: appare pertanto opportuno e doveroso sfatare questa opinione scorretta sotto un duplice aspetto.
Da un lato la normativa nazionale e locale concorrono nel vietare l’esercizio venatorio per svariati anni nei territori percorsi dal fuoco, dall’altro quasi nessun tipo di specie di fauna selvatica riuscirebbe a sopravvivere in un bosco incendiato o in un calanco completamente privo di vegetazione perché bruciata, habitat privi sia di rifugi che di risorse alimentari. In molte realtà locali italiane, al contrario, le associazioni venatorie prestano volontariamente servizio per avvistare in tempo focolai d’incendi in zone particolarmente a rischio e prevenire ulteriori pericolosissimi sviluppi. Sempre i cacciatori poi sono stati coloro che hanno costantemente osteggiato più di ogni altro l’antica pratica della bruciatura delle stoppie, fenomeno oramai in disuso perlomeno nella nostra regione, tecnica agricola che tanti danni ha arrecato a covate, nidiacei e piccoli nati di fauna selvatica.