Fonti alternative di energia

Con questa definizione intendiamo tutte quelle fonti di energia diverse dai combustibili fossili, ovvero da quelle sostanze che sono derivate dal seppellimento di grandiose masse di sostanza organica avvenuto milioni di anni fa. Mentre tali combustibili tradizionali, vale a dire petrolio, carbone e gas naturale, costituiscono uno stock “finito”, le fonti alternative di energia sono rinnovabili e quindi il loro utilizzo non pregiudica l’esistenza di risorse naturali per le generazioni future. Le più importanti fonti di energia alternativa sono costituite da – energia idroelettrica, – energia eolica, – energia solare (impianti fotovoltaici), – energia nucleare, e nel medio e lungo periodo saranno sicuramente quelle da privilegiare rispetto ai combustibili fossili, sia per la loro disponibilità praticamente illimitata, sia per il loro impatto ambientale potenzialmente pari a zero. Il cacciatore, in quanto soggetto interessato ad operare in un contesto di corretta gestione ambientale a 360°, privilegerà sicuramente queste fonti di energia, conscio però che anche esse, se gestite non correttamente, possono essere causa di gravi scompensi nei diversi habitat. La captazione di acqua dai nostri fiumi per l’alimentazione di centrali idroelettriche deve avvenire garantendo sempre il “minimo deflusso vitale”, cioè una portata a valle dell’opera di presa tale da permettere il proseguimento ottimale della vita nell’ecosistema, sia a livello faunistico che vegetazionale. Le pale eoliche sono indubbiamente una delle fonti di energia più pulite ma la loro localizzazione deve sempre tener conto dell’impatto paesaggistico e dell’esistenza o meno di linee di affilo per le migrazioni degli uccelli. Gli impianti fotovoltaici se realizzati al posto di tetti tradizionali di edifici civili e industriali o quali coperture di parcheggi di vaste dimensioni, ad esempio in grandi centri commerciali, sono sicuramente una splendida soluzione al problema del fabbisogno energetico, molto meno se costruiti al centro di fertili pianure o addirittura all’interno di aree protette per la fauna selvatica. I problemi derivanti dalla costruzione e/o gestione non oculata di una centrale nucleare, oltreché quelli che derivano dallo smaltimento delle scorie radioattive, sono noti a tutti e basta evocare il nome di Chernobyl per suscitare in ciascuno di noi un giustificato terrore. Concludendo quindi, sì alle fonti energetiche alternative ma a condizione che anche esse siano sottoposte ad un attento ed approfondito studio di impatto ambientale preventivo alla loro realizzazione e ad un continuo e accurato monitoraggio sul loro funzionamento.

Fitodepurazione

Il termine fitodepurazione significa letteralmente depurazione con le piante, ed è una tecnica di trattamento dei reflui che riproduce artificialmente una condizione di naturalità. Ogni corpo idrico superficiale è infatti spontaneamente popolato di vegetazione idrofila che si nutre sottraendo sostanze nutritive (principalmente nitrati e fosfati) dall’acqua stessa e quindi rendendola più pulita: è appunto questo ecosistema dinamico che si va a riprodurre nella realizzazione di un impianto di fitodepurazione. Gli impianti di fitodepurazione possono trattare tutti i tipi di acque reflue domestiche e/o urbane: essi di fatto non fanno altro che accelerare in questo ambiente “naturale ricostruito” quei meccanismi di degradazione biologica che avvengono spontaneamente nei corsi d’acqua. Probabilmente nella nostra Regione l’impianto più esteso, in quanto ad ettari in acqua, è quello gestito dalla Multiservizi spa a Jesi: esso rappresenta un ulteriore trattamento di “finissaggio” al quale vengono sottoposte le acque in uscita dal depuratore biologico tradizionale, già idonee ad essere scaricate nel fiume rispettando fin da subito tutti i limiti di legge per i diversi parametri. Questa depurazione aggiuntiva dei reflui comporta un abbattimento dei valori degli inquinanti sia a livello chimico che di carica batteriologica, consentendo di fatto al gestore di rinunciare anche alla fase di disinfezione dell’acqua con l’ipoclorito di sodio il quale, se da un lato attua la disattivazione o uccisione dei microorganismi patogeni, dall’altro comporta un’immissione nell’ambiente di sostanze chimiche che è sempre preferibile evitare. L’impianto si sviluppa su tre diversi settori, da un canale iniziale con funzione di sedimentatore dei solidi sospesi e sedimentabili residuali dal biologico tradizionale, al settore di deflusso dell’acqua su letti riempiti preventivamente con ciotolame di diversa granulometria e popolati di fragmiti (detta anche cannuccia di palude) con radici sommerse e fusto emerso, ai due specchi più ampi che, in un percorso parallelo, convogliano nel punto di uscita. Ma l’aspetto più importante, dopo quello di aver ricostituito un ambiente umido popolato da centinaia e centinaia di uccelli acquatici, è sicuramente determinato dalla realizzazione (già avvenuta) della condotta di rilancio a monte delle acque depurate, dall’uscita della fitodepurazione sino alla zona industriale di Jesi, dove potranno essere utilizzate per svariati usi produttivi appunto, da acqua di raffreddamento al lavaggio di macchinari, ecc … In definitiva un nuovo sistema di depurazione delle acque rispettoso dell’ambiente, da attuarsi sempre ove tecnicamente possibile ed efficace, che dovrebbe essere meglio conosciuto ed illustrato, sia agli addetti ai lavori che ai comuni cittadini che agli studenti.

Fauna alloctona

Per fauna “alloctona” (contrario di autoctona) si intende l’insieme di tutte quelle specie non appartenenti alla fauna originaria di una determinata area geografica, ma che vi sono giunte per l’intervento – intenzionale o accidentale – dell’uomo. Le immissioni faunistiche sono legate da sempre alla storia dell’uomo, basti pensare che animali che oggi consideriamo “locali” in realtà sono il frutto di antiche introduzioni che in molti casi sono arrivate a costituire un grave problema.

Alcuni esempi di specie di interesse venatorio: – il muflone, introdotto in Europa continentale a partire dal 1700, danneggia seriamente la vegetazione a scapito degli altri erbivori, soprattutto in ambienti insulari; – il coniglio selvatico, introdotto a scopo venatorio un po’ in tutto il mondo, soprattutto nelle zone libere da predatori si è moltiplicato in maniera esponenziale, divenendo un serio problema per i raccolti; – il fagiano, che ha occupato l’habitat originariamente utilizzato dalla starna la quale, anche a causa dell’aumento di superficie agricola coltivata a monocoltura intensiva e dell’abbandono dei terreni agricoli collinari e montani, è divenuta protagonista di uno stato di decremento continuo perdurante da mezzo secolo.

Il problema sussiste anche per la fauna ittica di moltissimi fiumi e laghi d’Italia, invasi da pesci gatto, siluri, gamberi della Louisiana, persici sole e persici trota che hanno in molti casi pressoché portato all’estinzione alcune specie autoctone. Idem dicasi per il regno vegetale dove ad esempio l’acacia, specie arborea resistentissima anche ad interventi di potatura drastica e perfino al taglio a raso, originaria dell’America settentrionale e importata in Europa a scopo ornamentale, ha ormai sostituito in molti boschi europei le specie autoctone. In tempi recenti si è finalmente compreso che la diffusione incontrollata di specie animali (e vegetali) alloctone è un fenomeno inquadrato a livello mondiale come uno dei principali motivi di perdita della biodiversità, secondo solo alla perdita e distruzione degli habitat. Il problema in futuro è destinato a crescere ed è importantissimo dotarsi di strumenti sia tecnici sia normativi per gestire al meglio questa emergenza.

Eutrofizzazione

Con il termine “eutrofizzazione” intendiamo indicare una eccessiva presenza di sostanze nutritive, fondamentalmente nitrati e fosfati, in un ambiente acquatico, e quindi tale termine ha una valenza fondamentalmente negativa. La naturale conseguenza di tale sovrabbondanza di nutrienti è la crescita abnorme degli organismi vegetali presenti in quell’ecosistema, lago, stagno, fiume o mare che sia.

A sua volta, questo sviluppo eccessivo di vegetazione acquatica e di alghe causato quasi sempre da fattori riconducibili all’uomo (uso eccessivo di fertilizzanti chimici in agricoltura, scarichi di acque reflue urbane e/o industriali non adeguati alla capacità ricettiva ed autodepurante del corpo ricettore, uso eccessivo di tensioattivi non biodegradabili, …) comporta a cascata l’incremento esponenziale dell’attività batterica che abbisogna di un enorme quantità di ossigeno, per arrivare in alcuni casi ad un depauperamento tale della presenza di tale elemento nell’acqua da causare la morte di fauna ittica, soprattutto di specie particolarmente sensibili quali i salmonidi.

L’aumento abnorme sulla superficie dell’acqua di alghe e sostanze mucillaginose impedisce, o comunque limita di molto, il passaggio di ossigeno atmosferico nell’elemento liquido cosicché i microorganismi che non necessitano di tale prezioso elemento (cosiddetti anaerobici) aumentano a dismisura innescando fenomeni di putrefazione anerobica di sostanza organica, causa nota di formazione di cattivi odori e di colorazione non limpida delle acque. Per ostacolare l’eutrofizzazione dei corpi idrici è quindi necessaria una politica ambientale che contemporaneamente agisca su più fronti, dall’attuazione di controlli efficaci sul territorio volti ad individuare ed eliminare scarichi inadeguati alle capacità auto depurative del corpo idrico ricettore, alla diminuzione dell’uso di concimi chimici in agricoltura, dall’uso responsabile della risorsa idrica che eviti gli sprechi e gli utilizzi inadeguati alla corretta gestione di sostanze naturali quali liquami e deiezioni animali o acque di vegetazione dei frantoi oleari che, se utilizzate nell’ambiente in modalità responsabile, possono contribuire ad uno sviluppo ecocompatibile ma che invece se sversate in maniera irragionevole sono causa dell’innescarsi di gravi problematiche.

Chiesa di S. Maria del Soccorso di Cartoceto

Sul lato Sud della collina del Monte Partemio a Cartoceto si trova il Convento di S. Maria del Soccorso.

Venne costruito attorno al 1500 per l’intervento del Comune, che stanziò 200 fiorini, e per il concorso di tutta la popolazione che in questo modo venne incontro alle pressioni di un frate agostiniano, tal fra’ Giacomo, che si prefiggeva di diffondere una devozione tipica degli agostiniani del tempo: quella della Madonna del Soccorso.
In seguito all’accorrere, anche dai vicini paesi, di folle di persone per miracoli che venivano compiuti da quella venerata immagine che nel frattempo era stata fatta dipingere, S. Maria divenne un centro di profonda religiosità e meta delle varie associazioni e parrocchie della diocesi di Fano.
Con il trascorrere del tempo questa devozione andò sempre più scemando e con la soppressione napoleonica della comunità dei frati, lo stesso convento ne risentì deteriorandosi sempre più nella sua struttura e divenne casa di riposo di quei frati che avevano insegnato allo studio generalizio di Pesaro, Rimini e Ancona. Nel 1743 su pressioni del generale degli Agostiniani Padre Agostino Gioia, il papa Benedetto XIV emanò due Brevi secondo i quali il monastero sarebbe dovuto diventare succursale di quello di Pesaro. Prontamente, anche se per ragioni diverse, ricorsero contro tale provvedimento il Consiglio della Comunità di Cartoceto e i magistrati di Fano che avrebbero voluto che le rendite di S. Maria fossero passate agli Agostiniani di Fano. Anche se tali iniziative non portarono al ritiro dei due Brevi, tuttavia questi non furono mai resi esecutivi.

Di stile vanvitelliano, la Chiesa di S. Maria del Soccorso ha una struttura molto solida con muri massicci anche per motivi di statica, dal momento che l’impasto a base di calce e tufo macinato non ha molta forza di coesione.
La chiesa è a pianta rettangolare, con volte a vela. Al piano terra vi erano gli uffici pubblici del convento, refettori, cantina e sala capitolare.

Presumibilmente attorno alla seconda metà del 1700 fu ricostruito l’attuale complesso monastico sul luogo del vecchio fabbricato compresa la Chiesa, possente, slanciata che fu benedetta dal Vescovo di Fano nel 1783. Il convento ospitava colonie elioterapiche per fanciulli e fanciulle povere e bisognose di cura e, pur non essendo più da tempo sede del Santuario di S. Maria del Soccorso e quindi meta di pellegrinaggi, il convento non ha però perso il suo richiamo spirituale.
I padri agostiniani un tempo numerosi, continuano ancor oggi a svolgere attività di accoglienza per gruppi di studio, di formazione e, comunque, per quanti cercano il silenzio e la comunione col visibile e l’invisibile.

Tra le più antiche pitture ancora ben conservate vi è l’affresco della Madonna del Latte, del 1500, posto nel passaggio tra la chiesa e il chiostro, tipica espressione dell’abbondanza e della fertilità; si trovava nell’antica chiesa quale ex voto.
Nella cappella laterale della chiesa si trova una Madonna del Soccorso della metà del 1500 di scuola marchigiana.
Sono inoltre conservate nel convento due opere cinquecentesche attribuite a Bartolomeo Morganti, pittore fanese che molto produsse nelle varie chiese di Cartoceto dove aveva una sua casa: una Concezione e una Flagellazione.

Nella chiesa è inoltre presente un organo del 1805, opera di Sebastiano Vici da Montecarotto.


Fonte: http://www.lavalledelmetauro.it/contenuti/beni-storici-artistici/scheda/4783.html

Biodiversità

La biodiversità può essere letteralmente definita anche diversità della vita: per “tutela della biodiversità” si intende la salvaguardia dei diversi habitat esistenti in natura e delle popolazioni animali e vegetali che ivi dimorano. Tale concetto va inteso inoltre come uno sforzo dinamico volto al mantenimento e/o al ripristino dei rapporti di interdipendenza tra dette popolazioni e l’ambiente naturale. La biodiversità o diversità biologica presenta differenti aspetti, non solo quello ecologico ma anche culturale, sociale, estetico, economico…
L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2010 Anno internazionale della biodiversità. La perdita di biodiversità ecologica ovvero la perdita di specie comporta un decadimento automatico della capacità di ogni ecosistema di rimanere in equilibrio: va da se che il cacciatore oggi più che mai deve battersi per la tutela della biodiversità, affinché gli ambienti naturali dove coltiva la sua passione possano continuare a produrre naturalmente fauna selvatica. Attenzione a non confondere la comparsa di nuove popolazioni animali in un dato ecosistema come un aumento della biodiversità!! Ad esempio non è positivo che i nostri corsi d’acqua siano oramai popolati di nutrie e gamberi rossi della Louisiana, in quanto i delicati equilibri preesistenti tra le altre popolazioni acquatiche animali e vegetali ne risultano gravemente compromessi.